Proseguendo il nostro itinerario tra le chiese dell’Etna sepolte o sfiorate dalla lava, dopo le sorprendenti Nunziata, Mompileri e Campanarazzu, ci dirigiamo verso la parte nord del vulcano. La strada è quella che dal fianco orientale porta verso Etna Nord, scavalcando il fianco all’altezza del Rifugio Citelli. Per imboccarla si deve arrivare a Fornazzo, piccola e deliziosa frazione del comune di Milo.
Allontanandosi dal paese, la strada si inerpica tra costoni di lava e vegetazione boschiva e rimane ancora nel territorio di Milo per chilometri. All’altezza di un noto ristorante locale, che sorge al centro di una bellissima sciara (antica colata lavica) fiorita, ci si ferma per ammirare un’altra delle chiese che hanno sfidato il vulcano: la Cappelletta del Sacro Cuore.
Storia di Fornazzo, paese di lava
Fornazzo nasce dalla lava e dentro la lava. Questo paese ha saputo dominare il vulcano, trasformando un deserto di roccia nera in un villaggio di montagna in cui si vive ancora a ritmi lenti e genuini. Fornazzo deve il suo nome alla leggenda secondo la quale il suo fondatore prese dimora dentro una grotta di scorrimento lavico. La grotta, da lontano, appariva come una di quelle antiche “fornaci” di pietra usate anche dai Romani. Da cui il nome “al Fornazzo” e poi solo Fornazzo.
Costruita nella lava, dunque, ma abbastanza lontana dal cratere centrale per sentirsi sicura … Fornazzo sperimentò sulla propria pelle di non esserlo come credeva. A volte – raramente per fortuna – l’Etna gioca brutti scherzi. E l’eruzione laterale del 1979 fu uno di questi. Dal 3 al 4 agosto diverse fratture si aprirono a valle dell’odierno cratere di Sud Est e fin sul bordo della Valle del Bove dal lato di Monte Fontane.
La cappella che fermò la lava
La lava si incanalò nel vallone chiamato Pietracannone e in poche ore raggiunse la strada Mareneve che collegava Fornazzo con il Rifugio Citelli. Tagliò la strada in più punti e si diresse verso Fornazzo. Gli abitanti vennero subito fatti spostare verso valle, ma alcune case di campagna furono divorate dal fiume di fuoco. Lungo la via, sorgeva un piccolo altarino dedicato al Sacro Cuore di Gesù, titolare anche della chiesa madre di Fornazzo.
La lava accerchiò letteralmente il piccolo edificio sacro, in un abbraccio bollente. Eppure non lo distrusse. Anzi, fermò la propria corsa dopo essere scesa per oltre 6 km dalla frattura iniziale. Ovviamente le persone del posto parlarono subito di miracolo, i vulcanologi di semplice diminuzione della carica eruttiva. Per il futuro del turismo etneo, questo evento fu molto importante perché avrebbe mostrato per sempre cosa significa vivere fianco a fianco con un vulcano.
La cappella del Sacro Cuore oggi
Oggi la piccola cappella del Sacro Cuore di Gesù, nel territorio di Fornazzo, è una delle prime tappe che molte escursioni – incluse le nostre – propongono ai turisti che vengono a conoscere l’Etna. Restaurato e ingrandito, l’altarino oggi è simile a una piccola chiesa dalle pareti imbiancate. Chiusa da un cancello di ferro con vetrate, al suo interno custodisce la statua di Gesù e diversi doni – spesso mazzi di fiori – lasciati dai fedeli.
La lava del 1979 è ancora lì, tutto intorno, e la chiude su due lati. Con quegli stessi massi di lava la gente del paese ha realizzato 14 lastre di pietra sulle quali sono incise le Stazioni della Via Crucis. Si viene quassù nel periodo di Pasqua, per alcuni dei riti sacri di questa festa, e per ringraziare Dio di aver salvato il paese dall’eruzione. I turisti, invece, ammirano la potenza del vulcano che ha devastato strade e campagne prima di terminare la propria corsa contro queste mura bianche. (foto di Grazia Musumeci)