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Il dottor Marco Neri, dell’Istituto di Geofisica e Vulcanologia di Catania, si ritiene “un uomo fortunato”. E fortunato due volte, per vivere là dove vive, ai piedi dell’Etna, e per il lavoro che fa, che considera “una emozione continua”. Questo signore pacato, gentile, dagli occhi azzurri buoni, ha un modo di parlare molto tecnico, quando spiega il vulcano. Il suo linguaggio è proprio quello dello scienziato puro e non a caso i suoi scritti sono molto apprezzati nell’ambiente. Quando deve parlare di se stesso, invece, diventa timido, quasi schivo … ma soltanto perché trattiene talmente tante belle emozioni che sono come un tesoro nascosto. E i tesori si mostrano poco per volta, col contagocce. Per questo ci riteniamo fortunati di averlo potuto intervistare. Ha risposto alle nostre domande con la solita, innata, cortesia e signorilità. Conosciamolo, allora… .

Come tutto è iniziato

Buongiorno dottor Neri, siamo curiosi di sapere: quando ha deciso di diventare geologo e vulcanologo per la prima volta?

Avevo compiuto da poco diciotto anni, fresco di maturità scientifica e con un po’ di confusione in testa tipica di quell’età. Dietro l’attento consiglio di mia madre avevo valutato inizialmente la laurea in giurisprudenza, perché sembrava essere quella più adatta, allora, per trovare lavoro subito. A settembre mi sono iscritto alla facoltà di giurisprudenza di Catania ed ho iniziato a seguire le lezioni di “diritto romano”. Un impatto tremendo! Mi ricordo vagamente di un libro pieno di parole che capivo poco, lezioni affollatissime che per trovare posto a sedere dovevi arrivare almeno un’ora prima e professori distanti anche fisicamente, da guardare col binocolo, che sembravano irraggiungibili. Ero disorientato, quel mondo mi appariva distante, respingente.

E come ha risolto il problema?

Avevo uno zio che noi, amabilmente, chiamavamo Peppino. Era uno scienziato dell’Università di Messina che studiava il mare ed una volta, con la sua barca “Colapesce”, mi aveva fatto provare l’esperienza di campionare le acque della rada di Augusta per studiarne l’inquinamento. Al telefono, zio Peppino mi disse: Marco, iscriviti alla facoltà di Scienze della Terra, studia la Geologia. Io avrei voluto farlo, ma non ho mai avuto l’occasione. Vedrai che, se ti conosco come credo, ti piacerà un sacco”. Così ho fatto e, dopo meno di tre mesi dall’iscrizione a giurisprudenza, cambiai facoltà universitaria e mi trovai catapultato in una nuova realtà composta da fossili antichi di milioni di anni, rocce di tutti le forge e mappe coloratissime. Quel nuovo e antico mondo era la mia casa e, quasi senza sforzo, avrei trovato nel tempo la dimensione a me più congeniale. Grazie per l’ottimo consiglio caro zio Peppino, ovunque tu sia!

Essere vulcanologo

Che vuol dire “essere vulcanologo” su un vulcano come l’Etna?

Significa essere molto fortunati, innanzi tutto. Con la sua frequente e variegata attività eruttiva e tettonica, l’Etna rappresenta una palestra formidabile per chiunque abbia la necessità di studiare i vulcani. Si impara sempre, ogni giorno, ed ogni giorno si scopre qualcosa di nuovo o inedito, sia stando dietro ad una scrivania che esplorando le sue pendici e la sua sommità. D’altra parte, la geologia è una scienza “giovane”, c’è ancora moltissimo da imparare e l’Etna è una “porta” capace di offrire molti spunti di riflessione e dati. Non a caso questo vulcano desta l’attenzione di numerosissimi scienziati provenienti da tutto il mondo.

Ci sveli un segreto non detto: ma un vulcanologo ha mai paura del vulcano?

Certo che sì, anche se più “moderatamente” rispetto ad altri. Forse un vulcanologo ha meno paura del vulcano rispetto a qualunque altra persona semplicemente perché conosce quell’ambiente meglio di altri. Penso che la paura, infatti, sia un’emozione primaria che nasce da qualcosa che non si conosce abbastanza o che non è prevedibile. Ma la paura può salvare la vita, e non solo ai vulcanologi, perché spinge alla prudenza. Ritengo sia una reazione sana ed utile. Poi, ognuno la declina a modo suo. Io continuo, ancora oggi dopo tanti anni, a provare una sorta di timore reverenziale verso i vulcani che limita, almeno un po’, la mia spontanea euforia per quegli ambienti così estremi.

Qual è la parte più emozionante del suo lavoro? E quale quella più pesante?

Mi emoziona la scoperta, il “tesoro” nascosto dietro ad ogni crinale roccioso (perché c’è sempre un tesoro dietro ogni angolo della Terra, basta volerlo cercare e saperlo trovare). Mi emoziona capire le cose, comprendere come funzionano, comprendere le relazioni tra fenomeni diversi, fare collegamenti e scoprire che, spesso, sono parte di catene di eventi interconnessi. Mi emoziona confrontarmi anche con i miei limiti, fisici e mentali, e scoprire che posso superarli, oppure mi emoziona (un po’ meno, in verità…) comprendere che non posso andare oltre e quindi godere del livello raggiunto. Non c’è una parte veramente “pesante” del mio lavoro. Lo amo, mi piace, credo nella necessità del sacrificio quando necessario, nella dedizione alla causa, considero il lavoro un “allenamento” utile e a volte necessario per raggiungere la meta: più ti alleni, più alto è il traguardo che puoi raggiungere, più è grande il piacere del percorso da fare, prima ancora del risultato.

Cosa consiglia a uno studente che sceglie di diventare vulcanologo?

Forse non si “sceglie” di diventare vulcanologi. Si viene scelti. La natura che ci circonda, gli eventi che ci accadono, tutto concorre ad indicarci la strada da seguire per diventare “qualcosa”. Lo studente affascinato dai vulcani, per prima cosa deve iscriversi ad un corso di laurea attinente alle Geoscienze, ma poi deve trovare in esso quella specializzazione che gli consenta di approfondire il mondo dei vulcani, che è solo una piccola, specialissima quanto affascinante branca delle Scienze della Terra. Troverà più occasioni presso università ubicate in aree vulcaniche attive, come quelle di Napoli e Catania, per ovvi motivi di vicinanza con ambienti fortemente connotati. In quelle università, il vulcanismo si “respira” letteralmente in ogni stanza ed è inevitabile che sia così. Ma una laurea quinquennale non basta. Bisogna perfezionarsi attraverso un dottorato di ricerca o un titolo equipollente ed “uscire”, fare esperienza all’estero acquisendo una buona padronanza della lingua inglese orale e scritta, perché vivere di vulcanologia significa quasi sempre entrare nel mondo accademico oppure, più recentemente, in quello del turismo attraverso ulteriori, specifici corsi abilitanti.

L’Etna nel cuore

Cosa è per lei l’Etna, al di là del lavoro?

È un orizzonte immancabile, un punto di riferimento costante, una presenza incombente e mai ingombrante. Una scelta per alcuni versi inconsapevole ma necessaria. Sono grato a questo enorme strato-vulcano perché mi dà il pane per vivere e l’aria per respirare, perché mi ha permesso di conoscere la mia compagna di vita e perché concede anche a mia figlia di vivere alle sue pendici. Ma l’Etna è anche il metro con cui misuro il mio esistere su questa Terra: mi ricorda cosa sono e quanto effimera è la mia orma sulla sua sabbia.

Grazie dottor Neri. Lei è sicuramente un uomo fortunato ma anche noi siamo fortunati ad avere, intorno a noi, persone competenti, attente e generose come lei, come tutti voi scienziati dell’INGV di Catania. Buon lavoro! (FOTO TRATTE DALLA PAGINA FACEBOOK DI MARCO NERI )


Autore: Grazia Musumeci